Alberi, Figli, Amore e Libertà di Andrea Maroè
Our job is to save trees, Our dream is to save the world… one after another. Ero alla festa per i 40 anni di quella che ho sempre chiamato la Scuola Nuova. La Scuola Mons. Camillo di Gaspero di Tarcento. La Domus Mariae del tempo del terremoto. La scuola degli stupidi del post terremoto. La scuola dei matti e dei deficienti dei 20 anni dopo. La scuola che, un prete venuto da San Babila, aveva fondato a Tarcento nel post terremoto. Naturalmente la scuola dove son cresciuto. La scuola che mi ha insegnato l’amore per la Vita e per il lavoro. La scuola che mi ha accolto, nella massima libertà, educandomi all’amore per la scienza e per la natura, oltre che per il senso religioso delle cose e della vita stessa. Tante persone. Ex alunni, genitori, amici, insegnanti. Perfino una Big Band Blues, ancora una volta fondata e diretta da un altro libero prete… che trent’anni fa avevo perfino accompagnato in seminario. Una Big Band Blues formata da ragazzini delle medie, da ragazzi di ogni età, da adulti. Che cantano insieme. E mentre li ascoltavo ho pensato che “la musica salverà il mondo”. Poi ho pensato che è la passione per quel che si fa che “salverà il mondo”. L’Educazione, il tirar fuori ciò che di meglio c’è in ognuno di noi, salverà il mondo. Un gruppo di adulti che per quarant’anni si è dedicato a “costruire” uomini, salverà il mondo. Non io e i miei alberi. Ma questa gente. Vera. Che educa. Non i miei alberi. E nel mentre regalavo comunque il mio piccolo libricino delle avventure del Venezuela ai miei amici che da tanto tempo non rivedevo. E ancora la musica suonava. Veri insegnanti. Vere persone. E’ l’incontro con loro che mi ha forgiato, che mi ha fatto diventare ciò che oggi sono. Una scuola, libera, che vive da quarant’anni, senza sovvenzioni statali, solo con l’idea che l’educazione è l’aspetto più importante dell’uomo. Non l’istruzione. L’educazione. E la musica suonava. E mi sentivo piccolo e quasi fuori luogo, tra tutte quelle famiglie e quei ragazzi. Io che “avevo fallito” la mia famiglia. Io che non ero rimasto fedele. Io che avevo ridotto il mio “salvare il mondo” al molto più semplice “salvare gli alberi”.
Che attende, pretende, la stessa fiducia di quando era bambino. Siamo noi che dobbiamo cambiare registro. Siamo noi che non ci dobbiamo stancare di dar fiducia e amore”. Parlavo, col mio bicchiere in mano. Quasi un soliloquio, pensando ai lunghi terribili anni dove mi ero sentito finito, come padre, come marito e come uomo. Vidi gli occhi di Lei luccicare di pianto. L’abbracciai forte. “Non temere. Non dipende da noi il risultato. Quando curo un albero devo farlo nel migliore dei modi, a volte sono drastico e taglio, a volte concimo, altre volte semplicemente attendo. Ma dopo che ho tutto fatto, al meglio che posso, non dipende più da me. Una mano più grande si prenderà cura del mio albero. Allora ritorno a casa e dormo sereno. Per i figli è uguale. Non devono mai sentire finito il nostro amore o la nostra fiducia, e poi, la Vita, quell’ineffabile mano che ci sostiene tutti, farà ciò che è giusto e non potrà dipendere comunque dalla nostra bravura”. L’abbraccio di quella piccola donna, i suoi occhi lucidi, nel silenzio composto di quando non c’è null’altro da dire. Tornai alla mia “Tana” pensando che quarant’anni non erano passati invano. Che la “mia scuola” mi aveva insegnato molto. E che la musica, gli alberi, ma soprattutto l’immensità di un amore gratuito, certo più grande del nostro, del mio, potevano , effettivamente, salvare questo fottuto mondo.
Da: http://superalberi-messaggeroveneto.blogautore.repubblica.it/