PARLANO DI NOI

I mattoni di don Villa

Tempo di educare

Viaggio nella scuola nata dal sacerdote milanese, che rispondendo a un invito di don Giussani andò nel Friuli distrutto dal terremoto del 1976

Un’anziana figura vestita di nero attraversa il cortile di ghiaia… con un enorme pentolone tra le mani. È don Antonio Villa, che si adopera per i bambini della scuola “Camillo di Gasparo”, di Tarcento, un paese arroccato alle pendici delle Prealpi friulane, a quindici chilometri da Udine.
Tutto è cominciato la sera del 6 maggio 1976, alle 21: il terremoto colpisce la zona, lasciando oltre 1000 morti sotto le macerie e un popolo in ginocchio.
«Una sera – racconta il prete -, pochi giorni dopo la tragedia, si era in piazza Gabrio Rosa, a Milano, per un’assemblea del movimento. Al termine, agli avvisi, si richiede la disponibilità di volontari e di un prete per il Friuli, per andare in aiuto per qualche settimana in una parrocchia della zona disastrata. Qualcuno scherzando fa il mio nome, don Giussani lo appunta: “Ah, Villa. Bene!”».

Compagnia, la prima pietra
«Quando siamo arrivati c’era molta confusione, e non sapevamo cosa fare. Aiutare a spostare le macerie? Meglio le ruspe… La seconda sera ci arrovellavamo pensando cosa sarebbe stato utile fare… Salta fuori da un libretto delle ore un biglietto con quella frase di Eliot: “In luoghi abbandonati/ Noi costruiremo con mattoni nuovi (…) Ognuno al suo lavoro”. Abbiamo chiamato i bambini per le strade, e li abbiamo portati dietro al Duomo, nei cortili della parrocchia, e abbiamo iniziato a fargli compagnia, stando con loro…». Compagnia: ecco il punto di partenza. «Lo scrivemmo su un murales: “Un popolo cammina verso la ricostruzione, la nostra amicizia è la prima pietra”». A settembre un’altra scossa: la gente si deprime, inizia ad andarsene. «“Ve ne andate anche voi?”, mi ferma una madre piangente: “Fate una scuola per i nostri bambini”, e in piedi mi compila un improvvisato cedolino di iscrizione». È cominciato così: prima sotto un tendone, poi un box, poi i prefabbricati. Tutto in un susseguirsi di accadimenti e situazioni rocambolesche che non possono che definirsi miracoli.

Educati e responsabili
La campanella suona per l’intervallo di metà mattina, i ragazzini corrono fuori dalla palazzina di tre piani messa a nuovo e raggiungono il refettorio. “Il Villa”, come lo chiamano qui, distribuisce i panini imbottiti che ha appena finito di preparare. Cucina lui, da trent’anni. Prepara il pranzo a studenti e insegnanti. «La struttura – spiega il prete assediato dai ragazzi – è quella che è, abbiamo solo una sezione di medie con 11 insegnanti, ma le iscrizioni sono già chiuse fino al 2010».
La scuola è una cooperativa, e il momento a cui assistiamo al termine dell’intervallo ha tutta l’aria di essere un’assemblea di soci. Nel salone del prefabbricato situato giù, verso il torrente Torre, dei canti curati e accompagnati da percussioni, flauti e chitarre introducono la riunione. Don Villa riprende il tema di cui hanno parlato nel momento di incontro del mattino, prima delle lezioni, chiama la sua piccola “segretaria” – che stende veri e propri verbali con presenze e assenze -, interroga e racconta. «Ti ascoltano – confessa don Antonio -, se hai qualcosa da dire, loro ti ascoltano». La scuola è loro, sono responsabili personalmente e lo dimostrano aiutando nelle pulizie, ad apparecchiare e sparecchiare il refettorio. Ad aiutare don Antonio c’è anche don Enzo, un sacerdote friulano, oltre a due amiche della “prima ora”: la presidente della cooperativa, Luciana, arrivò a Tarcento pochi giorni dopo il terremoto, da Cagliari; un anno dopo giunse dalle Marche anche Eva, che oggi è preside.

Radio Camilla
Dopo le lezioni, il pranzo è una festa: si mangia insieme, studenti e professori, e due signori pensionati che fanno saltuariamente dei piccoli lavori di manutenzione: don Villa, avvolto in un grembiulone con una sua caricatura disegnata davanti, ed Eva girano tra i tavoli con un carrello per il cibo e con ordine tutti si alzano e si servono. A pranzo finito qualcuno si ferma a ripulire, altri scattano in cortile a giocare: c’è il torneo di calcio. Al termine della lezione pomeridiana, una piccola redazione di ragazzi si riunisce in una stanzetta al pianterreno della palazzina della scuola: don Villa accende microfono e impianto, e la musica invade le tre grandi aule dei ragazzi. Radio Camilla trasmette 10 minuti di letture e commenti dei quaderni di classe, sui quali, durante la giornata, i piccoli studenti hanno appuntato riflessioni, pensieri, domande, suggerimenti e quant’altro. E all’idea di qualcuno di mangiare pizza all’indomani, un boato di assenso riempie la scuola.
Una piccola scuola di paese, pochi ragazzi, e pochi soldi. Ma gratuita fin dalla sua fondazione. Affascinante, perché chiunque arriva in visita si sente accolto come in casa. Il piano educativo sono poche pagine scritte sul libretto scolastico.

La persona e la comunione
«Educare – spiega don Villa – è la cosa più facile di questo mondo, è elementare, è della natura umana. È inevitabile. Educhi – o diseduchi – anche solo incontrando un bambino per strada che ti osserva, che ha un giudizio su di te, bello o brutto, perché lo hai incuriosito o l’hai scandalizzato. La struttura scolastica vera è la persona e in questa dinamica la scuola è comunione di persone. Quando don Giussani diceva che il soggetto educante è la comunione, diceva che comunque devi diventare soggetto tu stesso: perché la comunione da sola non sussiste, ma è una modalità dell’essere, una modalità della persona. Soggetto è la persona, è una persona, o due o tre o dieci persone in un certo rapporto fra di loro. Se c’è un certo rapporto, è una comunione educante; se no, è professionismo della scuola. Se si vuole stare con questi “piccoletti”, bisogna mostrare loro che c’è una soggettività diversa, cioè la tua, bella o brutta che sia!».

La stessa passione
Ricordano bene queste cose i professori che incontriamo a Udine, nel tardo pomeriggio, al Liceo Bertoni, una scuola cattolica gigantesca e storica. Quasi tutti sono ?passati? da Tarcento all?inizio della carriera e oggi insegnano in diverse scuole, o al Bertoni stesso o nelle statali. Forma e circostanze sono profondamente diverse, ma la passione educativa ?a stessa di allora. Qualcuno di loro, come il preside Marco, ?mplicato in una diretta collaborazione con l?ordine degli Stimmatini che guida l?immenso liceo privato, altri raccontano del doposcuola che ?artito da poco; spiega Emanuela, insegnante di informatica: ?Una cosa ho imparato a Tarcento: l?insegnante ?ome un attore, si mostra tutto, comunica con tutto se stesso, non pu?scondere nulla di s?In una dinamica del genere, accorgersi di questo rende il rapporto educativo sempre nuovo e gratuito. Gli stessi ragazzi si sentono accolti, riamati. Prima di tutto dai a loro una compagnia?. La compagnia ?a prima pietra: ?Don Giussani parla – raccontava don Villa – di introduzione alla realt?Ma che significa? La realt?on ?i? cui dobbiamo preoccuparci, ma l?introdurre: spiegare che c??n senso, a volte bello, a volte difficile da capire? Ma perch?i siedi cos?perch?rli cos?perch?anti cos?perch?angi cos?. Non puoi fare discorsi. Devono vederti! Devi farti vedere da loro, cio?evi essere con loro. Nel gioco, in classe, quando mangi, mentre fai tutto?.

Paolo Perego

TRATTO DA: “Tracce n. 4 aprile 2006” (http://www.tracce.it/?id=266&id2=252&id_n=7320)

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ultima modifica: 2016-03-08T22:55:44+01:00da camillo-scuola